Costruire dal basso, opportunità o moda (parte I)

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Buongiorno. In questa e nelle settimane a seguire, per la rubrica Uno sciagurato punto di vista, ci occuperemo di tattica, che tanto ci appassiona.

In fin dei conti, siamo o no un popolo di C.T.?

Cercheremo di approfondire il dualismo, vero o presunto, tra i sostenitori della “costruzione dal basso” e quelli della “palla lunga”, evidenziando i diversi punti di vista e di opinioni sull’argomento. Passano gli anni e le mode, ma le dispute non tramontano mai.

Una volta (anni ’80) era Sacchisti vs Trapattonisti.

Adesso, dove siamo? Ancora una volta, siamo al “progressisti vs tradizionalisti”? Contrapponiamo “giochisti vs risultatisti”? Dezerbiani vs Allegriani?

Oppure è tutta una scusa?

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Nelle ultime settimane, si è parlato tanto di un eccessivo – e quindi dannoso – ricorso alla costruzione dal basso da parte di molte squadre. Il pretesto per accendere la polemica è stato individuato nella successione di diversi errori (peraltro grossolani, ultimo in ordine di tempo quello di Arthur, che però, badate bene, nulla c’entra con la costruzione dal basso, è solo una …ata) commessi da portieri, difensori, centrocampisti, in fase di impostazione. Errori che hanno spianato la strada del gol agli avversari di turno. In uno dei primi capitoli del libro “La Piramide Rovesciata”, che ho letto, che considero imprescindibile (e che perciò vivamente consiglio) per tutti coloro che sono appassionati di tattica calcistica, l’autore Jonathan Wilson scrive: «All’inizio c’era il caos, e il calcio era senza forma». Ogni giocatore voleva avviare e terminare l’azione avendo la palla al piede eseguendo perciò una serie infinita di dribbling, perchè “passare” era considerato qualcosa di disonorevole riservato a chi disdegnava lo scontro fisico con l’avversario.

Possiamo esordire così, per tentare di spiegare perché, negli ultimi anni, sempre più allenatori di ogni parte del mondo abbiano deciso di adottare la “costruzione dal basso” come principio di base a sostegno del proprio modello di gioco. La discussione, ormai nauseante e che contribuisce solo ad alimentare quel grande bluff che è la contrapposizione (presunta) tra i cosiddetti “giochisti” e gli altrettanto cosiddetti “risultatisti”, inevitabilmente si svilupperà ogni qualvolta un calciatore cercherà un’altra soluzione diversa dal lancio lungo nei pressi della propria area. È chiaro, c’è chi non attende altro. L’errore nella costruzione del gioco dal basso è diventato quasi il simbolo di una battaglia tra fedi differenti.

Preliminarmente, cos’è la costruzione dal basso?

È un principio di impostazione del gioco (e quindi non solo una preferenza di stile) che permette di conquistare metri di campo e superare i “blocchi” difensivi avversari muovendo il pallone dal portiere e dai difensori centrali. Tra i vari presupposti ritenuti indispensabili per poter imbastire la manovra da dietro e avanzare sul terreno di gioco senza dover ricorrere al lancio lungo vi è una conoscenza chiara e consapevole delle dinamiche tattiche. Infatti la costruzione dal basso non è fine a sé stessa ma ha la funzione di superare le linee di pressione avversarie e avvicinare la palla alla porta rivale.

Richiede abilità tecniche individuali, un’adeguata organizzazione di squadra, coraggio, personalità, capacità di scelta e visione. La squadra avanza sul campo rimanendo compatta e le distanze aiutano i singoli a giocare da squadra.

L’integrazione del portiere permette la ricerca della superiorità numerica (oltre ad una migliore occupazione degli spazi) e proprio il coinvolgimento dell’estremo difensore nella costruzione dell’azione risulta un elemento pressoché inevitabile quando si cerca di sviluppare questa idea. A mio avviso, nulla altro è che l’ennesimo tentativo di progredire da parte dell’essere umano.

La tattica calcistica si pone un obiettivo: trovare e/o inventare dei modelli reali, delle forme appunto, attraverso cui sia possibile governare un gioco che di per sé non è pienamente controllabile/manovrabile. Con il tempo, per ogni tempo, quelle strategie che in un certo periodo storico risultano maggiormente evolute e manipolate si rivelano più efficaci perché questa aspirazione di controllo del gioco possa concretizzarsi almeno in parte, inducendo negli allenatori l’idea di poter giungere, loro, ad autodeterminare l’esito di molte azioni in una stessa partita e quindi, alla lunga, i risultati di un intero campionato. Di tutti i modi di approcciare una partita, soprattutto negli ultimi 20 anni, il più sicuro è quello basato sul possesso palla. Non è una scelta casuale ma piuttosto statistica: rifacendoci ad un rapporto dell’osservatorio calcistico CIES sulle stagioni 2016/17 e 2017/18, le squadre che hanno vinto un campionato europeo (di prima e/o seconda divisione) hanno avuto una percentuale media di possesso palla superiore al 57%; dal 2010 a oggi, la quota minima media di passaggi per match nei cinque maggiori campionati europei (Inghilterra, Spagna, Germania, Italia e Francia) è cresciuta da 752 (Ligue 1 2009/10) fino a 863 (Liga 2018/19); la quota massima, invece, è passata da 784 (Serie A 2009/10) a 918 (Premier League 2018/19).

Questi numeri stanno a significare che si cerca sempre più di avere il possesso del pallone, di non concedere l’iniziativa agli avversari, si predilige preparare qualsiasi tipo di situazione sin dalle prime costruzioni e proprio la partenza dal basso permette di sviluppare il possesso fin dall’inizio di ogni azione. Il passo successivo è piuttosto semplice: preparare e allenare la costruzione dal basso vuol dire, nell’ottica di un allenatore, espandere il più possibile questa ricerca del possesso, quindi del controllo; vuol dire dominare il gioco fin dall’inizio di ogni azione, o quantomeno cercare di possedere – e sviluppare – ciò che serve per farlo. In realtà il dibattito sulla costruzione dal basso esiste da molti anni, ed è più acceso che mai da quando il Barcellona che fu di Guardiola (2009 e 2011) e la Spagna che fu campione del mondo e bi-campione d’Europa (2008, 2010, 2012), hanno esasperato questo tipo di proposta tattica, dimostrandone l’efficacia ai massimi livelli e nel contempo stimolando l’imitazione da parte di tantissimi allenatori. Si tende a fare molta confusione tra costruzione dal basso e possesso di palla intensivo. Si tratta di due concetti che effettivamente convivevano, felicemente, nel calcio di stampo ispanico, che pur coabitando ancora oggi, in realtà non sono per forza la stessa cosa: la costruzione dal basso prevede infatti che difensori e portieri facciano partire e poi progredire l’azione in maniera non improvvisata, cioè attraverso meccanismi collettivi provati in allenamento. Questi meccanismi, a loro volta, si edificano sulle qualità tecniche dei singoli, e non contemplano solo appoggi sul breve, ma anche cambi di gioco “lunghi” e lanci “profondi” in verticale.

Si può dire, dunque, che la costruzione dal basso altro non sia che un puro strumento d’attacco, che può esprimersi con stili e forme differenti.

Sempre per tornare alle statistiche (aggiornate al mese di febbraio 2021), troviamo un esempio significativo nella Lazio dove Reina ha scalzato Strakosha in virtù della sua capacità di impostare il gioco con i piedi. Oggi la squadra Lazio è ai primi posti in Serie A per lanci lunghi completati (35,2 per match), ha una percentuale media di possesso palla del tutto simile a quella degli anni scorsi, ancorché non elevata (51,2%), ma ha migliorato, sfruttando proprio le qualità di Reina, dei nuovi e più adeguati modi di uscita in costruzione bassa che permettono ai giocatori di Inzaghino di risalire il campo velocemente, senza però ricorrere a una soluzione casuale, dall’esito inevitabilmente incerto, come per esempio un lancio molto lungo su cui centrocampisti e attaccanti devono duellare con i giocatori avversari. Infatti, con Reina, la Lazio ha trovato un portiere in grado di mettere costantemente il pallone sul piede dei terzini, sul petto di Luis Alberto, sulla testa di Milinkovic-Savic, o magari di smistarlo con precisione verso i difensori centrali. Cioè, se ho Reina che ha queste qualità, perché non sfruttarle utilizzandolo come primo regista?

Rispetto a questa impostazione, i “critici” tendono a osservare come Reina, Neuer o Ter Stegen siano portieri dalle doti rare, e lo stesso concetto è valido anche per i difensori: se non tutti i centrali e/o i terzini sono bravi a giocare il pallone come Van Dijk, per esempio, perché insistere nel tentativo di emulazione? Sarebbe una domanda sensata, se non si scontrasse (ancora, aridaje…) con le evidenze statistiche. Una su tutte: nella Premier League 2019/20, i rinvii dal fondo battuti lunghi (oltre i 40 metri) hanno garantito una progressione media, sul campo, di 38 metri; quelli giocati con un primo passaggio più corto, invece, hanno guadagnato 49 metri in media. In questo modo, anche i possibili (sebbene frequenti) errori che potrebbero portare a un gol avversario sono in qualche modo compensati, o meglio ammortizzati, dai vantaggi a lungo termine. E la misura di 40 metri è abbastanza ampia, quindi non parliamo solo di scambi ravvicinati, ma di cambi di gioco, di passaggi di media gittata.

Tutti presupposti per un calcio verticale e che non esaspera il possesso palla. Ripartire dal basso, pertanto, può essere una scelta funzionale per tutte le squadre, soprattutto a un certo livello. E questo tipo di ragionamento si può applicare anche quando vediamo squadre non di prima fascia applicare questa teoria non per ideologia cieca, oppure per moda, perché sono sempre i dati che lo confermano. Un difensore o un portiere che arrivano a giocare nei principali campionati europei dell’era moderna devono possedere le qualità per gestire il possesso palla anche nella propria trequarti, per servire (bene) un loro compagno a cinque, dieci o anche venti-trenta metri.

E allora è sacrosanto che gli allenatori tentino di utilizzare la strategia che, secondo loro ma anche secondo le rilevazioni statistiche, può assicurare loro i maggiori vantaggi. In fin dei conti altro non è che un sottile ricerca di equilibrio tra vantaggi e scompensi che vengono misurati, analizzati, pesati continuamente, e che finiscono per influenzare anche il regolamento: alla vigilia della stagione 2019/20, l’International Board ha decretato che la rimessa dal fondo si possa battere anche all’interno dell’area di rigore, perché è il calcio attuale, che si gioca in questo modo, dando al tempo stesso un impulso supplementare per lo sviluppo di questo particolare concetto tattico. L’unica discriminante che talvolta esula dai numeri e dalle tendenze, è la concretezza di ogni calciatore. C’è chi la manifesta direttamente in campo, quando ci sono certe azioni in cui non conviene azzardarsi dentro articolate ragnatele di passaggi o lanci complessi, e allora è meglio spazzare via il pallone – ed è una cosa che succede molto più spesso di quanto sembri, anche in squadre che amano costruire dal basso.

Gli allenatori, invece, possono farlo in maniera più dilatata, estensiva, in base alle proprie (legittime) idee, al proprio carattere e temperamento, alle richieste dell’ambiente in cui lavorano, ma soprattutto alle caratteristiche dei calciatori di cui dispongono. Quando si arriva a lavorare in una nuova squadra ogni allenatore ha il diritto e il dovere devi scegliere il gioco che si adatta meglio al suo contesto e al materiale umano che gli viene reso disponibile dalla società. Perciò, se hai gli uomini adatti a costruire dal basso, perché non farlo?

Ma, al contrario, se hai gli uomini adatti a conquistare campo con delle palle lunghe perché non provare a giocare in questo modo?

E questo sarà l’argomento della prossima puntata.

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