La crisi del Milan. Indizi, sospetti e carenze… umane

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A pensar male si fa peccato, ma spesso ci si prende”. Così soleva dire qualcuno.

Un mio articolo di qualche anno fa (qui il link) esprimeva alcuni dubbi (fondati peraltro su numeri oggettivi e sulla sua pregressa carriera) su Mister Pioli e sulle sue effettive capacità di essere efficace ad alti livelli per lungo tempo. Ve lo ripropongo in chiave critica, affinché possiate rileggerlo alla luce degli eventi recenti.

Faccio ammenda per aver “peccato” all’epoca e non ho alcun problema a riconoscere al Mister dei meriti indiscutibili. Tuttavia, non posso fare a meno di ricollocare quel “pensare male” nella contemporaneità di quanto domenicalmente vediamo e perciò mi spingo oltre costruendo alcune ipotesi che possano aiutarci a meglio comprendere quanto accade, perché, esclusa la malafede nei comportamenti e un improbabilissimo imbrocchimento dei nostri beniamini e pur ammettendo al calcio una elevata percentuale di imprevedibilità, un qualche maledetto motivo razionalmente ci deve pur essere.

Perciò, vediamo di procedere con ordine, e non disponendo della verità assoluta, abbondando di punti interrogativi.

  1. A partire dal gol di Pobega (Milan – Roma, 2-0, parziale) è sotto gli occhi di tutti che qualcosa si sia effettivamente guastato. Le successive sostituzioni, di tipo conservativo, forse non sono state apprezzate? Pioli più volte ha tentato di uniformarsi al dogma imperante della difesa a 3, accantonando la lunga tradizione di difesa a 4 del Milan. Forse in quel contesto, sebbene mancasse poco alla fine, quella riproposizione è stata interpretata come un segnale di debolezza?
  2. Il problema del portiere. L’infortunio di Maignan e le polemiche più o meno velate che ne sono seguite (ricordate il divieto della società di mandare lo stesso il ragazzo ai Mondiali?) sono la causa dell’effetto che vediamo oggi. Un “secondo” portiere di valore non c’è, è evidente. C’è un secondo portiere, inteso solo numericamente. Così come ce n’è un terzo, certo. Ma la differenza tra il “titolare” e gli altri è troppa e questo in una qualsiasi squadra va bene solo e se tutto il resto va bene, cioè se tutti giocano al massimo delle loro possibilità così da limitare eventuali prestazioni negative dell’estremo difensore. Una papera sul 3-0 a favore non ha lo stesso effetto se avviene sullo 0-0. Se il divario tra il “primo” e gli “altri” è troppo accade che il “primo” sa che giocherà sempre, perciò va sul velluto e si permette delle libertà che non gli dovrebbero essere consentite. A Maignan, ci scommetto, deve essere andato di traverso non poter partecipare al Mondiale. Una volta clinicamente guarito, magicamente si è rifatto male. Un caso? O una vendetta? Il Senatore Giulio, che la sapeva lunga, saprebbe cosa rispondere. L’assenza di Maignan si è prolungata con disappunto di tutti coloro che lo aspettavano. Tornando al fatto tecnico, se gli “altri” sanno di essere troppo distanti tecnicamente dal “primo” sono consapevoli che non giocheranno mai o quasi mai (a meno di catastrofi o solo in partite dal poco valore tecnico-agonistico) perciò il loro impegno settimanale inevitabilmente decade e con esso la competitività. In linea di principio, da allenatore, preferisco avere due portieri più o meno dello stesso livello che si fanno concorrenza per giocare. Se poi ti mancavano tutti e due, allora ricorrevi al “terzo” che nei tempi andati era quello della Primavera, che la sera prima della partita non dormiva per l’emozione, mentre adesso magari è un onesto mestierante agli sgoccioli di carriera che si accomoda in panchina intabarrato e sorridente nel mentre controlla l’accredito del bonifico e si augura che nulla accada per potersi godere la partita da seduto. La squadra non ha fiducia in Tatarusanu, è pacifico. E Tatarusanu che sarà anche scarso ma non scemo, lo ha ormai capito benissimo. E non solo per quello Tatarusanu che combina in partita ma perché forse ne combina altre in settimana e perché magari lo stesso preparatore dei portieri non ne parla bene? E forse qualche senatore influente all’interno della squadra, forse lo stesso Capitano (sempre ipotizzando) sono andati da Pioli a “discutere” della opportunità di schierare il rumeno? E forse la strenua difesa di Tatarusanu da parte di Pioli (che lo schiera sempre e comunque) non è stata né capita né compresa? E se non accade lo stesso per Mirante è solo per mancanza di sufficienti elementi diciamo così, “probatori”. Il Colombiano? Per Pioli, “non è ancora pronto”. Cioè, fine della trasmissione e delle discussioni. Da qui una specie di effetto “farfalla” sotto forma di ribellione silenziosa, di distrazione, di rassegnazione ed anche di aperta contrarietà rispetto alle scelte del tecnico, che, come ogni tecnico dovrebbe fare, deve saper ascoltare i segnali che gli giungono dal gruppo. È inutile commentare che “non dovrebbe essere così”, accade nelle organizzazioni lavorative, in famiglia, tra amici. Perché così è, se vi pare, ed a tutti i livelli di calcio giocato. Il calcio, non dimentichiamo, è giocato da esseri umani, ognuno dei quali porta sul campo ciò che è fuori del campo.
  3. I “nuovi”, intesi come nuovi giocatori, hanno dato poco. Anche qui posso fare delle ipotesi partendo dal presupposto che ogni allenatore, ha i propri convincimenti e li difende. Se un allenatore chiede dei rinforzi alla società, può anche non fare nomi, ma solo indicare delle “caratteristiche tecniche e tattiche” che lui ritiene debbano sussistere. Se poi la società gli mette a disposizione uno poco conosciuto l’allenatore magari lo studierà prima di farsi un giudizio fermo restando che quello sconosciuto potrebbe anche (ed è lecito) non corrispondere alle sue attese. Se chiedo un cane e specifico che lo voglio veloce e tu ti presenti con un pastore del Bernese che tutto è fuorché veloce, ti dico che quel cane, pur bellissimo, non mi serve a nulla. Non mi spiego perché Adli, Vranckx, Thiaw, di cui non ricordo peraltro infortuni, siano stati impiegati così poco. Perciò, siamo al “vi ringrazio che me li avete portati, ma siccome avevo chiesto altro, non sono obbligato a farli giocare perché non mi piacciono”? De Ketelaere, in tale ottica, rispetto ai due sopra, potrebbe essere l’esito di una trattativa tra società e allenatore? Essendo il giocatore costato molto nonché di giovane età, la dirigenza potrebbe aver “preteso” dall’allenatore ogni possibile sforzo al fine di preservare l’investimento fatto? Da qui gli innumerevoli tentativi di dare spazio al Belga, apparso troppo spesso spaesato come se si sentisse sopportato e poco gradito. Su Origi ho idea che evidentemente il meglio lo abbia già dato a Liverpool e il mutamento di metodi di preparazione (infortuni inclusi, in questo caso) ne abbiano limitato fortemente le possibilità.
  4. I “nuovi”, sotto l’aspetto umano, hanno dato ancora meno. Detto delle difficoltà di varia natura incontrate dai soggetti di cui sopra, va anche detto, in tutta sincerità, che i sempre suddetti evidentemente si aspettavano (perché qualcuno glielo aveva promesso? Perché lo speravano in autonomia?) di giocare un po’ di più. È inutile anche qui commentare che “non dovrebbe essere così”. Il Milan, la Champions, una vetrina importante come la serie A, per dei ragazzi di belle speranze erano appunto una “speranza” che nei fatti si è rivelata solo un sogno. Da qui il diffondersi sia di un progressivo stato depressivo che li ha condotti in un angolo della rosa anche loro alla stregua del terzo portiere, sia la poca disposizione a fare di più una volta (se e quando) chiamati a fornire un contributo all’insegna del “tanto non cambia niente”.

Detto ciò, come se ne esce? Bella domanda.

A volte è sufficiente un risultato positivo. Di certo, serve molto buon senso, da ambo le parti.

Un passo indietro serve spesso per farne due avanti.

Serve che tutti mettano da parte gli individualismi personali.

Una bocciatura si supera, un fallimento no.

Un Milan fuori da tutto non farebbe comodo a nessuno. Non ci sarebbero vincitori, ma solo sconfitti.

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