Allenatori nati – Seconda parte

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sacchi

Gli anni ‘80 rivoluzionano il mondo del calcio: la tattica acquista prestigio e si erge quale legittimo concetto in contrapposizione a improvvisazione, leggerezza, espediente.

Sono gli anni dell’arrivo della zona, importata dall’Europa del Nord. Dalla Svezia, via Portogallo, arriva in Italia l’incantatore di serpenti Eriksson. La fama di Nils Liedholm si concretizza attraverso il bel gioco della Roma di Falcao, Conti e Cerezo il tappetaro.

Si affermano le definizioni di zona, diagonale difensiva, fuorigioco, del correre senza palla e negli spazi. Arriva il momento di frasi famose e indimenticabili. Cambia la terminologia e non solo. Cambia il punto di vista.

Inizia la diatriba (peraltro mai conclusa definitivamente) tra i cosiddetti Italianisti (sostenitori della tradizione del calcio nostrano) e gli Innovatori (o presunti tali), cosi detti perché sostenitori di un altro tipo di calcio, meno distruttivo e più propositivo, ancorché maggiormente dispendioso.

L’allenatore assurge a ruolo di studioso del calcio e delle sue regole, vecchie e nuove. Negli anni 80, è vero, conseguono successi importanti anche Bianchi, ruvido esponente della categoria degli Italianisti, e l’Osvaldo Bagnoli della Bovisa ma si mettono in evidenza tra gli zonaroli Galeone, Maifredi, ma soprattutto Arrigo Sacchi.

Sacchi delinea una storica e netta demarcazione tra il vecchio e il nuovo. Sulla scia dell’Ajax e della nazionale Orange degli anni 70, il suo Milan di Gullit, Van Basten, Rijkaard (ma anche di Baresi, Tassotti, Maldini, Donadoni, Colombo ed Evani!!!) semina bel gioco e risultati di assoluto prestigio che rimarranno scolpiti nel tempo e probabilmente destinati a non essere mai replicati. Sacchi dimostra che un altro modo di giocare al calcio è possibile anche per noi Italiani. Applicazione, impegno, intensità, pressing, ritmo, corsa, termini sino ad allora a noi sconosciuti perché dominio di altri entrano nel lessico quotidiano.

Cambia anche il modo di comunicare la tattica. Nelle trasmissioni istituzionali compaiono le prime lavagne, davanti alle quali ex allenatori espongono come i giocatori devono occupare il campo ed il perché di un movimento o di una sovrapposizione.

L’allenatore diventa uno studioso, un teorico oltre che un pragmatico. Deve saper parlare, spiegare, insegnare, rispondere. La conferenza stampa del pre-partita diventa quasi più importante della partita stessa. Gli avversari? I giornalisti! Domande trabocchetto ancorché insulse. Il migliore in questo campo fu senza dubbio Liedholm con i suoi paradossi. A Roma, Liedholm era ascoltato come una divinità. I tifosi sarebbero usciti con l’ombrello se Liddas avesse detto che forse sarebbe piovuto. Quando Liedholm voleva sviare l’attenzione dalle sue future mosse, diceva ai giornalisti “domenica farò giocare quello lì”, indicando un ignaro e sconosciuto ragazzino della squadra Primavera. Immediatamente, tutti si precipitavano dal malcapitato chiedendo notizie su di lui, sulla famiglia, le sue origini, e quant’altro. Puntualmente, alla domenica il ragazzino neanche andava in panchina. Nel frattempo però, Liddas aveva potuto preparare la partita in santa pace. Un mito.

Il livello del materiale umano a disposizione dell’allenatore è salito enormemente, dentro e fuori del campo, la 5^ elementare degli anni ‘60 è tramontata. L’allenatore deve sapere di psicologia, di tecniche di comunicazione, deve saper gestire i rapporti con la stampa, ora sempre più presente. A volte deve saper anche cortesemente mentire.

Ricordo a tutti che negli anni ‘70 erano nate le radio e le televisioni private che, per catturare audience, puntano sulla radiocronache delle partite. Termina il monopolio, non c’è più solo la RAI: le tribune stampa si riempiono di pionieristici commentatori, talvolta improvvisati ma sinceri, attaccati ad una comunissima linea telefonica. Dopo la partita poi, c’è l’assalto, la ricerca del commento, dell’opinione a caldo, e perché no della polemica.

Il calcio si espande a macchia d’olio. Pre-partita, partita, post-partita. La radiolina e “Tutto il calcio minuto per minuto” delle 15.30 iniziano ad essere un ricordo. Il fenomeno calcio non ha più soluzione di continuità, dal lunedì alla domenica.

A botta calda, fredda e semifredda. Il tifoso affamato di sapere, ascolta, e partecipa. E chiede, domanda, vuole conoscere, talvolta avendo anche un microfono a disposizione. Il consenso si acquista e si conferma anche con la parola. Rimanere su una panchina o essere esonerati spesso non dipende più dal Presidente, ma dalla piazza mediatica.

Gli anni ‘90 sono quelli del definitivo boom. A similitudine di quanto accaduto in Inghilterra con Sir Alex Ferguson e il Manchester United, l’allenatore assume sempre di più il ruolo di gestore di risorse umane e finanziarie: non deve sapere solo di tecnica e tattica, ma anche di bilanci, di esercizio, di attivo e passivo, deve saper scegliere i giocatori di oggi, domani, dopodomani, entra nei meccanismi di mercato, nei quali nel frattempo, la sentenza Bosman ha causato disastri e mostri giuridici.

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Si scopre (ahimè) che esiste un calcio anche di fuori dal rettangolo di gioco. Il pallone non è più tondo, ma qualche volta anche quadrato. Fabio Capello in tal senso, ne rappresenta l’esempio pratico. Dopo aver smesso di giocare, studia da manager e fa il telecronista Fininvest. Quando il mito di Arrigo Sacchi per consunzione tramonta, il Milan si affida a lui per continuare a vincere e non ha torto. Mascella volitiva, Capello è ascrivibile alla categoria dei tradizionalisti. Ebbe una ottima carriera da centrocampista, arrivando anche in Nazionale. Nel Milan della Stella, di lui Liedholm disse che “faceva un gioco che metteva in difficoltà ogni avversario”. Da mister, si afferma come un uomo solo al comando. Arrivano successi e consensi, in Italia e fuori. Dopo il Milan, Fabio Capello consoliderà la sua fama a Roma e Torino e Madrid. Di lui ricordiamo l’esperimento del doble pivote (Albertini e Desailly) e della solidità difensiva del Milan degli Invincibili.

Sempre negli anni ‘90 si manifesta il fenomeno Zeman, soprattutto con il Foggia delle meraviglie di Rambaudi, Signori, Baiano, ma anche Kolivanov e Shalimov, tanto per dire.

L’utopia al potere. Su Zeman si potrebbe dire e scrivere all’infinito. Personalmente, non ricordo un personaggio che abbia mai diviso così profondamente la critica ed il pubblico come il Boemo. Senza mezze misure, Zeman, o si odia o si ama, no way out.

Zeman è annoverato al top della classifica degli Innovatori.

Irriverente, talvolta irrispettoso, capace di mettere in panchina chiunque, privilegia la squadra rispetto ai singoli, Zeman grande scopritore di talenti giovani e sconosciuti, Zeman che spacca la schiena ai giocatori con la sua preparazione atletica, Zeman che lavora da solo e con contratti annuali, Zeman che viene dalla gavetta delle serie minori, Zeman contro il Palazzo del potere.

Tra alti e bassi, successi clamorosi ed altrettanti naufragi la fama del Boemo arriva sino ai giorni nostri, seppur offuscata dalla incapacità di dare un equilibrio tattico alle sue creature. Con Zeman tutto è possibile, tranne la noia. Fa divertire i suoi tifosi ma anche quelli avversari.

Tra i contemporanei, per finire, annotiamo il nostro Carlo Ancelotti e José Mourinho. Entrambi condottieri vincenti in Italia e fuori, ai massimi livelli e ormai pronti per una squadra Nazionale, qualunque essa sia e dovunque essa si trovi. Re Carlo resta molti anni alla guida del Milan, fa palestra di diplomazia allenandosi a parare i colpi (anche bassi) di un Presidente già allenatore dell’Edilnord per arrivare quasi al record di presenza sulla panchina rossonera. Se ne va altrove, prima di assistere all’inevitabile e attuale declino.

Con un’intuizione geniale, trasforma Pirlo da trequartista a regista basso davanti alla difesa, allungandone e impreziosendone la carriera, per la fortuna di Milan, nazionale, e, purtroppo, Juventus.

L’altro, arriva sull’altra sponda del Naviglio e stupisce tutti, esprimendosi in perfetto slang milanese, chiarisce che non è venuto qui a farsi prendere in giro. E lo dimostrerà.

Da eccellenti predestinati del calcio che conta, aspettano di trovarsi faccia a faccia in una finale Mondiale per dirimere chi tra di loro potrà fregiarsi del titolo di migliore.

Sfida all’OK Corral, l’ultima frontiera.

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Leggi la prima parte dello speciale >>> Allenatori nati – I parte 

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