Pagella, benedetta pagella
Nel corso della stagione 2018-2019 scrissi un articolo (questo) nel quale, partendo dal concetto etimologico di “pagella” ho cercato di spiegare come nascevano le “mie” pagelle.
E sottolineo “mie”, nel senso che ne rivendico la proprietà intellettuale, non sotto l’aspetto puramente economico e dei diritti d’autore (e ci mancherebbe pure…), ma in quanto esse sono frutto di autonoma elaborazione e non di operazioni di copia e incolla.
Nel suddetto articolo ho raccontato anche un po’ di storia delle “pagelle”, di come nessuno vi rinunci e della loro evoluzione tecnica (dal semplice voto sic et simpliciter, all’aggiunta di commenti più o meno estesi sulla prestazione del pagellato) e di come anche i giornali non specificatamente sportivi a partire dagli anni ‘70 ebbero l’intuizione di introdurre le pagelle nella edizione del lunedì.
Precisai anche dell’importanza (ovviamente celata) che gli stessi giocatori attribuiscono alle pagelle, che, in quanto pubbliche, vengono da tutti lette e che pertanto, possono venire eventualmente usate, pro o contro, in un ipotetico contraddittorio per ridiscutere, al rialzo o al ribasso, la propria posizione economica, verso la società di appartenenza o un’altra. Il focoso e pittoresco Romeo Anconetani, prima di diventare presidente del Pisa, si era inventato il ruolo di procuratore ante litteram avvalendosi proprio delle classifiche di rendimento ricavate dalle pagelle.
Dissi anche che le pagelle vennero estese agli arbitri a partire dalla metà degli anni 80, con alterno successo attraverso rubriche dedicate
Nel corso del tempo da parte dei lettori è aumentato l’interesse verso le pagelle, dell’esponenziale aumento del numero di partite trasmesse in televisione e dei conseguenti spazi di approfondimento, analisi, commenti pre e post gara con la partecipazione a vario titolo di giornalisti, ex calciatori, allenatori, ex allenatori, Dirigenti, ex Dirigenti nonché “altri” personaggi di “altri” ambiti, da quello politico a quello dello spettacolo ad ogni livello. Ormai chi non conosce la fede sportiva dei propri beniamini del piccolo o grande schermo o della politica? Il buon Aldo Biscardi con il suo “Processo del Lunedì” ci vide lungo ed inaugurò una moda che non si è più fermata.
Dissi anche (e lo confermo tuttora) che scrivere le pagelle non è impresa facile, perché è necessario tenere conto di tanti elementi che portano al voto finale. e che i punti di osservazione di un incontro di calcio sono molti, particolarmente quattro e tutti fortemente limitati :
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quello dell’allenatore.
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quello dal calciatore.
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quello dello spettatore allo stadio.
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quello del telespettatore.
Qual è il punto di vista giusto? E chi lo può dire. In un mondo, quello del calcio, dove tutto è relativo e soggettivo, nessuno ha torto e nessuno ha ragione in assoluto, o forse tutti abbiamo ragione, proprio perché ognuno di noi osserva dal proprio punto di vista privilegiato.
Nel frattempo, avendo studiato molto ed approfondito la materia nelle sedi opportune (sono diventato Match Analyst Longomatch nonché Tecnico Federale con la qualifica UEFA B ed alleno in 2^ categoria), il mio punto di vista si è ovviamente orientato maggiormente verso un mix tra quello del punto 1) e quello del punto 4). In particolare, ho apprezzato molto libri quali “Il senso del gioco” ed “Il primato del gioco” di Mister Francesco D’Arrigo, mio docente al Corso UEFA C.
La mia attività di allenatore, con tutto quello che precede la partita (il lavoro settimanale sul campo, la gestione del gruppo-squadra, i rapporti con la Dirigenza, ecc.) mi ha gradualmente portato verso una differente e più approfondita valutazione delle scelte che un allenatore fa per quanto riguarda la formazione iniziale, le sue scelte e la gestione della partita nel suo complesso, problematiche che anche vivo settimanalmente.
In più, quale spettatore, nel valutare la prestazione di un giocatore mi sono dovuto rendere conto che, nel tempo, che “l’errore” che noi tanto deprechiamo è, ahimè, inevitabile, anche a livelli elevati.
Il calcio è un gioco di invasione ed opposizione, caratterizzato da elevata imprevedibilità e casualità (per questo la stessa situazione non si verifica mai due volte) ed è un gioco complesso (in quanto integrazione di più elementi).
Il giocatore deve saper leggere le situazioni di gioco e dare una interpretazione a ciascuna di esse sotto l’influenza di diversi fattori di disturbo (e questo non sempre accade). Le situazioni sono imprevedibili e mutevoli, il giocatore dovrebbe fare il più possibile la cosa giusta al momento giusto (il cosiddetto “timing”).
L’incertezza del gioco è costante ed è causata dal rapporto con i compagni e con gli avversari, che determinano situazioni socio-motorie.
Il giocatore deve tener conto :
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— della palla (velocità, traiettoria, direzione);
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— dei compagni (vicini, lontani, della comunicazione e della cooperazione al momento);
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— degli avversari (vicini, lontani, da dove arrivano, sono aggressivi e meno);
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— sé stesso, soprattutto (percezione del proprio corpo, il maggiore fattore di incertezza).
La sua coordinazione motoria dipende da:
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— vincoli dell’organismo (percezioni individuali);
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— vincoli dell’ambiente;
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— vincoli del compito.
Tutti questi vincoli influenzano le situazioni di gioco, pertanto la prestazione sportiva, va letta all’interno di due dimensioni:
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— quella motoria;
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— quella psicologico-comportamentale.
Per superare queste difficoltà, il calciatore usa coordinazioni specifiche che acquisisce in allenamento e che devono avere come risultato lo sviluppo della fantasia motoria e della creatività.
Ciò che guida la sua l’azione è l’ambiente che gli suggerisce cosa fare. Comanda la percezione e per questo egli si muove in funzione dell’ambiente che dirige genericamente le sue intenzioni inducendo un determinato comportamento.
Il calcio richiede sempre l’esecuzione di capacità coordinative specifiche per eseguire le gestualità calcistiche, per cui eseguire gesti tecnici in modo ottimale si scontra con la realtà del gioco.
Piuttosto si devono eseguire gesti tecnici efficaci utilizzando di volta in volta esecuzioni differenti dello stesso gesto in funzione dei compiti, dell’ambiente e delle percezioni individuali funzionali al sistema neurobiologico del momento. Questo perché i movimenti non possono essere decisi a priori dal cervello ignorando le differenti condizioni dei segmenti corporei e quanto proviene dalle forze esterne (ambiente).
Non è importante ripetere lo stesso gesto ma piuttosto lo stesso compito mettendo in condizione il sistema nervoso centrale di ripetere da capo quanto gli viene richiesto cioè il compito motorio prefissato.
Un movimento eseguito perfettamente dal punto di vista biomeccanico potrebbe non essere efficace se non consegue lo scopo per il quale è stato fatto.
Il gol di Giroud sabato scorso, secondo voi è allenabile per principio? Oppure ricade nella categoria delle coordinazioni specifiche?
E Giroud sarebbe stato in grado di eseguire lo stesso gesto se fosse stato in campo dal 1° minuto? Oppure il suo movimento sarebbe stato reso differente dalla situazione al momento delle sue catene cinematiche inevitabilmente meno efficienti dopo 80 minuti di partita?
Esiste un rapporto di univocità inversamente proporzionale alla catena dei segmenti cinematici impegnati nel movimento. Il movimento richiesto è eseguibile se c’è una corrispondenza tra l’impulso e la situazione in periferia. Le forze esterne incidono maggiormente sulla qualità del movimento in confronto all’impulso centrale.
Esiste una cosiddetta variabilità esecutiva che, ove fosse assente, determinerebbe che tutti i calci d’angolo di un giocatore sarebbero uguali per la sola ripetizione di uno schema motorio imparato ed immagazzinato dal sistema nervoso centrale. Secondo voi è così?
E qui mi fermo, invitandovi a provare ad osservare una partita in modo diverso.