Scarsi insegnanti e piccoli alunni
Ricordo che, all’epoca della scuola, un momento di massima felicità era quando si verificava l’assenza di un insegnante titolare ed al suo posto appariva come d’incanto, annunciato o meno, il supplente. Prioritariamente, ci si accertava subito del periodo della sua permanenza. Se questa era lunga, l’entusiasmo iniziale scemava un pò, perché di fatto egli (o ella) diventava l’insegnante titolare con tutte le conseguenze del caso. Se invece la presenza si limitava al minimo sindacale, un giorno, due, si stappavano bottiglie di spumante e automaticamente ci si sentiva autorizzati a fare ognuno il comodo proprio: chi leggeva il giornale, chi studiava un’altra materia, chi faceva la battaglia navale.
L’unica cosa che poteva modificare la situazione e coagulare l’eventuale interesse verso il soggetto che avevamo di fronte era la possibilità di dover affrontare un compito in classe di quella materia sotto la sua sorveglianza e responsabilità. In quel caso, colui o colei che ci si parava davanti in quel momento diventava il mezzo con cui giungere allo scopo finale. Dopo di che, sarebbe potuto anche andare via. Se guardate bene, è quello che è successo al Milan. Un gruppo di alunni (i calciatori) che vedono colui che hanno di fronte (l’allenatore) come un “supplente”, in attesa di quello, al momento peraltro ignoto, che diventerà il titolare. Ognuno degli alunni si sente autorizzato, come detto sopra, a fare il proprio comodo, forte del contratto che ha sottoscritto con la scuola (l’A.C. Milan). L’importante è non violare le regole minime di educazione che nel contratto stanno scritte, al fine di non incorrere nella sospensione da parte del Preside (il Presidente o chi per lui): pertanto, basta partecipare agli allenamenti arrivando puntuale, per esempio, e poi mettere nell’allenamento quel minimo impegno il giusto indispensabile per non dare troppo nell’occhio.
Se poi, in aggiunta, manca lo stimolo dell’obiettivo concreto da conseguire (il compito in classe), perché per lo scudetto e la Coppa Italia non si concorre, per la Champions nemmeno, per l’Europa League manco a parlarne e la salvezza è assicurata, non vale la pena di sudare e rischiare di farsi male. Si tira a campare in attesa di quello che succederà a breve. Chi l’ha detto? Ma il procuratore, ovvio.
“Aspetta, stai tranquillo, vediamo chi subentra, così capiamo chi viene sulla panchina e poi decidiamo se restare o cercare altrove”.
Ho già espresso il concetto che in una squadra di calcio, dalla 3^ categoria alla Germania Campione del Mondo, le regole che valgono sono sempre le stesse. Sono tutti uomini, con le loro simpatie e antipatie, con la loro educazione e il loro carattere. All’interno di un gruppo così composito, non è possibile imporre l’amicizia per legge. Immagino che i possibili motivi di divisione siano gli stessi di ogni altro ambiente: penso alla politica, per esempio, e alle discussioni che può generare l’ascolto di una notizia all’interno di un Tg piuttosto che di un altro. E magari ci metto anche le vicende sentimentali, vedi la vicenda Maxi Lopez-Icardi. Stiamo parlando di professionisti o presunti tali, però. E allora mi aspetto che in campo ci si passi la palla e ci si aiuti anche se quello a cui la palla va passata è di sinistra e non di destra, o se è antipatico o scorbutico. Ma se mi fa vincere la partita, chissenefrega. Terminato l’incontro, ognuno a casa propria, non è obbligatorio frequentarsi.
E poi c’è un allenatore, che è solo, mentre i giocatori sono tanti. Ogni allenatore, se non è sostenuto dalla Società, contro quel gruppo di giocatori non ha scampo alla lunga. Regge sino a che vengono i risultati, in qualsiasi modo, e poi basta. Compito di ogni allenatore è convincere i giocatori che il metodo migliore per cercare di vincere le partite è quello che dice lui. Se ci riesce, la metà del compito è fatto. Ogni giocatore, se intervistato, ha la sua idea di squadra, di modulo, di schieramento in campo. L’importante, però, è che sia lui più altri dieci.
Ecco, questa premessa, serve per descrivere ciò che è sucesso al Milan. Un allenatore supplente, un gruppo di studentelli che pensano ad altro, la mancanza di un compito in classe da svolgere, l’attesa dell’insegnante che arriverà.
Da qualsiasi parte la si guardi, la sceneggiata a cui abbiamo assistito in molte partite di questo campionato non ha giustificazioni e non è nemmeno classificabile a livello di un torneo dell’oratorio. Queste cose non dovrebbero mai accadere. Non dovrebbero, infatti, ma purtroppo accadono. E accadono quando manca la testa pensante, quando manca chi comanda e chi decide. Speriamo arrivi presto la testa pensante, chi comanda e chi decide, a prescindere dalla lingua che parla. E poi ognuno per la propria strada. Mi dispiace per Pippo che da giocatore ci ha fatto impazzire. Mi permetto di suggerire di verificare bene se questa potrà essere la strada del suo futuro, essere stato un grande giocatore non lo garantisce sul poter essere un buon allenatore. Vada via e provi altrove, magari in categorie inferiori, ci sono fior di professionisti anche lì. Provi e poi verifichi, magari un giorno ci accorgeremo che abbiamo sbagliato tutto. Lì a Milanello è ancora troppo “Pippo” per tutti, e dove sei “Pippo” non puoi essere “il Mister”.
Concludo: mi verrebbe quasi da dire che ciò cui abbiamo assistito quest’anno non è degno. Però, voglio sorvolare, volutamente, sul significato delle parole, “degno” (che ha come sinonimi meritevole, adeguato, appropriato) e “dignità” (che ha come sinonimi rispettabilità, onorabilità, decenza).
Nessuno, secondo me, può arrogarsi il diritto di dichiarare indegno qualcun’altro.
Lascia un commento