Habemus Mister!

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habemus papam

Annunzio vobis gaudium magnum. Habemus Mister! Eminentissimum et reverendissimum allenatorem… Fonseca.., qui sibi imposuit nomen Paulo I”.

E fumata bianca fu. Come si suol dire, morto un Mister se ne fa un altro.

The show must go on. Siamo andati oltre Viani, Rocco, Marchioro, Liedholm, Sacchi, Capello, Tabarez, Zaccheroni, Ancelotti, Allegri. E pure oltre Sinisa (R.I.P.), Montella, Gattuso. Andremo perciò anche oltre Pioli. Siamo il Milan.

Si chiude così “Lo spogliatoio nella prateria”, serial a puntate ambientato tra San Siro e Milanello nel quale si racconta la storia di una squadra sofferente che faceva dentro e fuori dalla terapia intensiva.

Un serial della specie “noir”, visti i tanti giocatori d’oltralpe in rosa.

Uno “spin-off” (serie di telefilm televisivi, ma anche di film, fumetti o romanzi, il cui protagonista appariva come personaggio secondario in una precedente serie) di altri serial già vissuti in passato e nei quali si dipana la storia di un fatto di sangue il cui colpevole è chiaro tanto da venire indicato (ma mai rivelato) sin dalla prima puntata ma la cui identità tutti fingono di non sapere perché sennò finisce troppo presto.

Il calcio è spesso teatro. E ipocrisia.

Era evidente che sarebbe finita così. E dopo 4 anni e mezzo il tutto rientra nel gioco delle parti. E nei 4 milioni all’anno di contratto.

Il Milan che Pioli ereditò era una squadra terremotata, confusa e destabilizzata dal deludente avvio di Giampaolo che si accorse, ma dopo solo tre mesi e alla prima di campionato, che Suso non poteva essere un trequartista (!).

Una squadra incapace nei precedenti sei anni di andare oltre un quinto posto in classifica.

Pioli (di cui non sono nemmeno lontano parente) l’ha ricostruita, l’ha fatta tornare in Europa e poi in Champions sino alla semifinale, ha vinto uno scudetto impensabile. Ci siamo divertiti, abbiamo gioito dopo troppi anni, diciamolo.

Tutto si può dire tranne che non sia stato educato, elegante, sempre misurato.

E’ stato innovativo in campo, coraggioso.

Ha lanciato giovani interessanti.

Ha commesso errori nelle scelte? Certamente, come tutti. In primis, ha pagato, per me, l’aver difeso e l’aver fatto giocare Tatarusanu che era indifendibile e inguardabile. Ma io parlo da centinaia di chilometri di distanza.

Non nego che fui il primo ad essere perplesso (per via della sua poca dimestichezza con i grandi club e del suo “cursus honorum” non di alto livello) quando, all’epoca, la scelta cadde su Pioli.

In troppi della rosa però, lo scorso anno e questo, sono letteralmente spariti nei (anche qui troppi) momenti decisivi. E tutti insieme, non uno per volta. Perciò ritengo sia lecito domandarsi se, nell’ultimo anno e mezzo, tutti i giocatori a sua disposizione siano stati dalla sua parte con tutti i sentimenti. E questo al di là dei consueti “messaggi” di stima ed apprezzamento che girano ora.

Anche io, che sono allenatore, so perfettamente che, se vogliono, i giocatori, possono farti fare figuracce epocali.

Pioli chiude con un secondo posto senza che il club lo abbia aiutato molto quest’anno.

La Coppa Italia ? Non è mai stata una competizione apprezzata dal Club in generale, visto che negli ultimi 50 anni l’abbiamo vinta due volte, nel 1977 e nel 2003, perciò, niente di nuovo.

La Champions? Due del nostro girone sono arrivate in semifinale e se Giroud sbaglia il rigore del vantaggio contro il Dortmund è colpa dell’allenatore?

L’Europa League? Torno qualche riga indietro sull’atteggiamento di taluni che al primo ostacolo leggermente più complicato si sono assentati.

Bene ha fatto, per me, la società ad arrivare sino in fondo con lui. Non comandano i giocatori.

Andate a ripescare i commenti di fine 2019 al momento dell’arrivo di Pioli. Già dimenticati eh?!

Il Liverpool (6 Champions) prende Slot (l’eliminato preferito dalla Roma).

Il Bayern (6 Champions) prende Company (retrocesso col Burnley).

L’Ajax (4 Champions) prende Farioli (dal Nizza).

Il Chelsea (2 Champions) prende Enzo Maresca (dal Leicester).

Squadre tra le più ricche al mondo decidono di fare sostanzialmente un salto nel buio con allenatori poco più che esordienti, con zero o poca esperienza nelle coppe europee.

Tutti scemi? Lì il tifo non conta? Oppure sta cambiando qualcosa nel modo di scegliere un allenatore?

Tutti, forse, a cercare il nuovo Guardiola. Quello vecchio, nel frattempo, è rimasto uno, ma la sua influenza tattica sul mondo del calcio non smette di esercitare il suo potere. È ancora a questa influenza, iniziata ormai 15 anni fa, che dobbiamo far riferimento per spiegare quello che sta succedendo alle panchine delle grandi squadre.

Memore del passato, perciò, adesso aspetto, prima di giudicare Fonseca che arriva al Milan con un curriculum ed una esperienza sicuramente superiore a quella che aveva Pioli all’epoca dei fatti. Per lui parleranno, appunto, i fatti. E penso che gli vada concesso il minimo sindacale di attesa.

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Da qualunque lato la si voglia guardare, ha esperienza internazionale (Braga, Shakhtar, Lilla), al suo attivo una semifinale di Europa League (eliminazione a cura del Manchester United), con una rosa nettamente inferiore a quelle a lui successive ma soprattutto la conoscenza del nostro campionato, avendo allenato per due stagioni la Roma prima dell’arrivo di Mourinho. Anche nella capitale fu accolto da un certo scetticismo, ma quella Roma giocava un buon calcio.

E sono convinto che quelli che adesso osteggiano il suo arrivo saranno i primi a salire sull’eventuale e tradizionale carro.

Nemmeno Montella e Gattuso furono trattati così male, poi sappiamo come andò a finire. Costa molto aspettare? Ma da noi pazienza e programmazione sono termini desueti. Tutto e subito.

D’altra parte, siamo o non siamo il Paese dei 60 milioni di C.T.? Siamo o non siamo nel Paese del “er mister ‘n’ce capisce gnente”?

Inoltre, come noto, la memoria dei tifosi, è corta, nel bene ma soprattutto nel male, ma non è il mio caso. Invece spesso è talmente corta tanto che in troppi hanno rimosso il ricordo di quanto accaduto sabato 25 febbraio 2012.

La sera del gol di Muntari, mica un sabato qualunque.

La sera nel quale si verificò non un errore arbitrale ma uno scandalo sportivo internazionale del quale nessuno, ancora, è riuscito a dare una spiegazione anche solo marginalmente razionale.

Un episodio di una tale gravità da influenzare in modo determinante (in senso negativo) molti degli anni che vennero dopo.

Un episodio per me, antico milanista, paragonabile al regolarissimo gol annullato a Chiarugi quel sabato di Pasqua del 1973, e che, anch’esso, guarda caso, influenzò allo stesso modo molti degli anni che vennero dopo.

Ebbene quel sabato 25 febbraio 2012, “lui” che veniva agognato come il Sommo, l’Unico, il Messia, il solo, possibile allenatore per il Milan della prossima stagione, negli spogliatoi ci definì (e ci sono i filmati) “una società di mafiosi”. Ottimo allenatore? Chapeau. Il resto? Mi avvalgo della facoltà di non rispondere.

Non mi risulta che il noto e tanto agognato di cui sopra abbia mai ritrattato la frase o fornito spiegazioni.

Io la memoria per fortuna la conservo ancora e non mi vendo. Andavano bene tutti, ma non lui. E perciò pure Fonseca.

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