La Nazionale che non esiste più. Da dove ripartire

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Nel mio precedente articolo di analisi della disfatta di Palermo (leggibile qui), avevo espresso un concetto molto forte ma essenziale nella mia visione delle cose. Cioè che colui che, in primis, dovrebbe dimettersi per dare l’esempio dovrebbe essere il Presidente della Federcalcio e con lui tutta la sfilza di Dirigenti che ha consentito si arrivasse a tanto, e, in secundis, il Capo del Settore Tecnico della stessa Federcalcio. I tenutari del sistema calcio Italia. Se è vero che il calcio può essere assimilabile ad una grande azienda, al vertice dell’azienda vengono poste persone che si ritiene abbiano i requisiti personali, professionali e di esperienza indispensabili per governare quella azienda.

A dirigere Poste Italiane non potrà mai essere posto un neo-laureato. E così per Trenitalia, ad esempio o per un Istituto di Credito. Per colui che viene chiamato a dirigere l’azienda calcio Italia vale, per me lo stesso ragionamento. E siccome chi ti chiama dirigere una organizzazione di quel livello sa che ti sta assegnando un compito gravoso, non esita a riconoscerti emolumenti adeguati al compito che sei chiamato ad assolvere ed alle responsabilità civili, penali ed amministrative che ti ricadranno sulle spalle.

Ma poi arriva il momento di presentare i risultati, sotto forma di oggetti fabbricati che vengono venduti, o di servizi resi, e perciò di ricavi e fatturato. Questo per un’azienda di ogni settore. Nel caso del calcio è possibile assimilare gli oggetti fabbricati o i servizi resi e quanto ne consegue allo spettacolo prodotto per il consumatore ed al prestigio per il tuo Paese di appartenenza? Credo proprio di sì. Tenuto conto della importanza del calcio in quanto sport di vertice, della sua ormai accertata funzione sociale, nonché del giro di denaro che esso genera con ricadute sull’indotto, la domanda che potrebbe essere posta è la seguente: “Tutto ciò premesso, mi fa vedere, gentilmente, cosa ha fatto? Cosa ha portato a casa?”. Visti i risultati, in un Paese (volutamente maiuscolo) dove le cose funzionano non dico bene, ma normalmente, al termine della esposizione il signore di cui sopra nella sua posizione e con tutti i soldi che ha percepito, verrebbe messo nelle condizioni di andare a casa senza passare nemmeno per il Via, come a Monopoli.

Invece nulla di ciò accadrà, Perché siamo in un paese (volutamente minuscolo) dove chi ha fallito non si dimette mai, e se lo fa, si porta a casa una ricca buonuscita. La solita politica insegna. Le grandi aziende Italiane sull’argomento hanno fatto storia e i grandi manager di Stato, che hanno conseguito il nulla, anche. Invece ciò non accadrà perché si ridurrà il tutto ad una questione tattico-tecnica e presumo che l’unico che avrà la dignità di dimettersi sarà come al solito l’allenatore, pronto subito dopo, ovviamente, a sedersi su un’altra panchina al doppio dell’ingaggio.

Perché tutto verrà ridotto ad un problema di aver convocato Tizio piuttosto che Caio, di sistema di gioco che non va, di gol e rigori sbagliati e Dio non voglia di arbitri ed arbitraggi.

Perché nel calcio si dimentica subito ciò che fa comodo dimenticare. E l’omo campa. Intendiamoci, non che l’allenatore non abbia sbagliato (ma è tutto da dimostrare che abbia sbagliato per malafede o incompetenza). L’allenatore ha sbagliato perché ha dovuto scegliere tra Tizio e Caio. Magari, nell’incertezza, ha parlato prima con Tizio e poi con Caio ricavando elementi di valutazione che lo hanno portato a fare quella scelta.

L’allenatore ha sbagliato perché ha dovuto “fare”, nel tempo che ha avuto disponibile e con il materiale umano che ha avuto disponibile.

E ha messo in conto di sbagliare. E solo chi non fa, non sbaglia.

Ma, ammesso e non concesso, l’allenatore si dimetta, il vero problema è un altro.

E dopo? Il problema non è mai chi parte ma chi arriva.

Nessuno, nemmeno il più bravo al Mondo, riuscirebbe a cavare un ragno dal buco se l’organizzazione intorno a lui non funziona.

Dopo il Presidente della Federcalcio, tutta la sfilza di Dirigenti al seguito, e il Capo del Settore Tecnico della stessa Federcalcio, dovrebbero essere mandati a casa tutti gli allenatori delle squadre giovanili che non sono stati capaci di produrre nulla di valido per la Nazionale maggiore. Tabula rasa. Al loro posto andrebbero ingaggiati tecnici con un curriculum che sia tale.

Gente che ha avuto una carriera significativa anche da giocatore e che abbia titolo a mettere bocca su quello che si fa e quello che non si fa. E andrebbero messi alla guida delle squadre di ragazzi, sul campo, ad insegnare come si sta in campo. Diversamente, vai tra i Dilettanti.

Tutte le squadre nazionali dovrebbero condividere i metodi di allenamento e utilizzare gli stessi sistemi di gioco. Sarebbe più facile far transitare un elemento dalle nazionali minori a quella maggiore.

Bisogna avere il coraggio di tornare alla figura dell’allenatore federale. Uno che inizia la carriera a Coverciano e a Coverciano la finisce. O fai quello o fai l’allenatore da club. Cos’è sto andirivieni?

Nomi? Tanti, per me sin troppo semplice trovarne.

Pirlo, Nesta, Donadoni, Tassotti.

Gattuso anche per me ci starebbe bene.

De Rossi sarebbe perfetto.

Leggo di De Zerbi, ma anche Italiano porterebbe una ventata di novità.

Gente col sale in zucca, con il carisma, la personalità. E forse ne ho detti anche pochi.

A capo metterei un anziano, uno che non ha più voglia di mettersi la tuta ma ha la visione d’insieme, l’esperienza e la competenza per coordinare ed organizzare.

Invece nulla di ciò accadrà.

Perché chi dovrebbe dimettersi non si dimetterà.

Perchè chi dovrebbe arrivare non arriverà.

E perché io faccio, felicemente, altre cose.

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