Li allontana Commisso mentre Berlusconi passa all’incasso
Mancano poche ore al termine ultimo entro il quale Yonghong Li (o chi per esso) dovrà rimborsare i 32 milioni di euro anticipati dal fondo Elliott per completare l’aumento di capitale deliberato nei mesi scorsi. Sono quindi giorni delicati per la cessione del club rossonero sebbene la trattativa prosegua ora a fari spenti, dopo un susseguirsi di tira e molla tra il presidente Li e il tycoon italo-americano Rocco Commisso. Ma sono giorni di evidente soddisfazione per il gruppo Fininvest e di conseguenza la famiglia Berlusconi: il bilancio consolidato del 2017 registra un profitto netto di 867,7 milioni di euro a fronte del rosso di bilancio da 120,2 milioni registrato nell’esercizio precedente.
Un risultato talmente positivo da far stropicciare gli occhi, se confrontato con quello registrato negli esercizi dell’ultimo lustro, soprattutto a causa di vicende societarie come la querelle con De Benedetti e il caso Vivendi. Il “merito” di tale risultato è dovuto in principal modo alla cessione del club rossonero da Fininvest a Li: una cessione capace di generare una plusvalenza da 611,5 milioni di euro e sopperire pertanto al trend negativo di Mediaset (soprattutto a causa di Premium) che nel 2018 pare non arrestarsi, nonostante l’azzeccata intuizione di acquisire i diritti per i Mondiali Russia 2018. L’indebitamento complessivo del gruppo resta sostanzialmente stabile ad 1,3 miliardi di euro, con una mole di investimenti nell’ultimo esercizio pari a 862 milioni di euro.
Chi assiste alle vicende societarie di casa Milan, più o meno da vicino, avrà certamente notato l’idiosincrasia tra le vicissitudini del club rossonero, ora in mano a Yonghong Li, e l’andamento di Fininvest. E si sarà di conseguenza chiesto che fine abbiano fatto le promesse dell’ex patron rossonero Silvio Berlusconi, che a Maggio 2016 dichiarava: “Ritengo che dopo 30 anni sia arrivato il momento di passare la mano. Ma voglio lasciare il Milan a chi sia capace di renderlo protagonista in Italia e nel mondo.” Un concetto fondamentalmente ribadito in prossimità del closing, tra una caparra e l’altra: “Ho sempre detto che avrei consegnato il club solo a chi avesse potuto garantire la possibilità e la volontà di investire per fare di nuovo grande il Milan. (…) I tifosi stiano tranquilli.” E infine rafforzato ad affare completato e stagione sportiva ormai cominciata: “Noi abbiamo avuto banche, sponsor e professionisti internazionali che ci hanno confermato come l’operazione di cessione fosse assolutamente sicura. Adesso abbiamo parlato nuovamente con queste persone che ci hanno dato ulteriore conferma dell’assoluta nettezza e pulizia di questa operazione.”
A poco più di un anno dal passaggio societario, dopo oltre 30 anni targati Berlusconi, il Milan non vede neppure lontanamente la luce in fondo al tunnel. Sull’attuale proprietario regna un alone di mistero, con aumenti di capitali che arrivano a singhiozzo e il fiato sul collo del fondo Elliott, pronto a escutere il pegno e impossessarsi delle quote societarie. Il proprietario sembra pronto a cedere, salvo poi frenare e tirarsi indietro a causa di una cifra di vendita ampiamente inferiore a quella riscossa da Fininvest pochi mesi or sono (520 milioni + 220 milioni di debiti verso le banche).
Sul fronte dirigenziale un fallimento totale: sesto posto in campionato (dopo una campagna faraonica da 228 milioni di euro), mancato voluntary agreement, negato settlement agreement ed infine esclusione dall’Europa League (resta in piedi il ricorso al TAS di Losanna). E un rifinanziamento del debito non ancora pervenuto (la deadline è ad Ottobre 2018).
Silvio Berlusconi dovrà prima o poi rendere conto di tutto ciò: spiegare precisamente che fine abbiano fatto le sue fantomatiche promesse e le sue patriarcali rassicurazioni nei confronti di milioni e milioni di tifosi rossoneri.
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