Fra società malate e morenti il calcio italiano è andato a rotoli (di banconote)
E’ arcinoto (ma non perché lo dica il sottoscritto, ma perché lo dicono tutti quelli bravi e in possesso di cultura del settore molto elevata), il nostro calcio è in crisi, ormai già da qualche tempo. I fallimenti di un paio di società di serie B fanno evidentemente meno notizia dell’arrivo di CR7, ma sono fatti di questi giorni tanto quanto l’atterraggio del calciatore portoghese. La mancata partecipazione al Mondiale di Russia, del resto, non è altro che l’ennesima triste constatazione della situazione in cui versiamo.
I nomi di società gloriose che saranno costrette a ripartire dai Dilettanti sono su tutti i giornali, sportivi e non. Società espressione di territori e comunità legate profondamente al mondo del calcio. Squadre di città che hanno calcato i campi della massima serie. Fa scalpore vedere tra questi nomi quello del Bari la cui mancata ricapitalizzazione ha impedito l’iscrizione in serie B. I due potenziali nuovi soci (Andrea Radrizzani, il patron del Leeds e l’imprenditore Ferdinando Napoli) che avrebbero potuto salvare il Bari calcio, si sono infatti tirati indietro. La formula con la quale hanno gettato al spugna lascia intendere chiaramente che nel corso dell’esame del carteggio societario siano spuntate nuove voci di ulteriori debiti che li hanno fatti recedere. Pare infatti che alla richiesta della situazione debitoria al 31 marzo di quest’anno in poi non sia mai giunta risposta. Una circostanza che ha rafforzato il dubbio su una situazione che andasse al di là di quanto si sapeva (si parla di oltre 16 milioni di esposizione verso i creditori).
La vicenda che coinvolge il Cesena invece comincia già lo scorso 28 maggio, con il primo no dell’Agenzia delle Entrate al piano di ristrutturazione del debito con l’Erario accumulato dalla società. L’ultimo tentativo (per la verità piuttosto alla Don Chisciotte) viene ascritto al presidentissimo Giorgio Lugaresi che ha tentato di agganciare una merchant bank inglese (la Crown Financial and Merchant Bank) arrivata a Cesena tramite un intermediario locale per salvare società e campionato cadetto. Cioè una banca d’affari, come quella di Sindona, tanto per chiarire. Un soggetto che svolge in prevalenza il ruolo di intermediario finanziario, che assiste le imprese nelle operazioni straordinarie (cessione di pacchetti, aumenti di capitale, collocamento di azioni e obbligazioni, scalate, fusioni, scissioni). Avete presente Goldman Sachs, Morgan Stanley, Lehman Brothers? Quelli. Strozzini internazionali patentati.
Analoga sorte è toccata alla Reggiana, che tra l’altro era già fallita al termine della stagione 2004-2005, per la quale è saltata anche la trattativa di Mike e Alicia Piazza (Presidente e Vice Presidente) con il finanziere Pablo Victor Dana portavoce di possibili nuovi acquirenti, per una cessione (almeno parziale) della società. Pablo Victor Dana per chi non lo sapesse è il banchiere italiano di Dubai che ha portato il thailandese Mister Bee (!) alla discussa trattativa per l’acquisto del Milan, ma è noto soprattutto come l’uomo che vuol fare comprare la serie A dagli stranieri. E che alla obiezione sulla poca trasparenza dei capitali esteri osserva che: “Oggi il calcio italiano è svalutato, perché non ha saputo vendersi fuori. E il problema è proprio la mancanza di trasparenza del suo governo. Le prospettive di crescita sono enormi, ma non prescindono da risanamento economico e trasparenza, soprattutto dei consigli di amministrazione dei club e dei vertici. La massima chiarezza attira gli investitori seri e dal portafoglio più ricco”.
Il Chievo invece rischia la B per aver realizzato plusvalenze fittizie. Alla dirigenza della squadra veneta vengono contestate operazioni che hanno interessato decine di calciatori tra i quali anche giovani di serie minori senza contratto professionistico. Il costo del cartellino gonfiato in certi casi fino al 9.000% del loro reale valore per consentire l’alterazione dei bilanci, aumentare la consistenza patrimoniale e ottenere in questo modo il rilascio delle licenze per le iscrizione ai campionati. Ecco lì la motivazione. Restare attaccati alla mammella della mucca che allatta. Retrocedere? Non sia mai, è una vergogna, un declassamento sociale prima che sportivo. Tutti i nomi che avete letto testimoniano come disastrosa si stia rivelando la connection tra pallone e mondo della finanza. I soldi nel calcio sono sempre girati, diciamocela tutta, certamente da un certo livello a salire. Il problema che il livello dal quale salire si sta abbassando sempre di più. Adesso per partecipare ad un campionato di Eccellenza e allestire una squadra discreta per potersi salvare a volte servono 800.000,00 euro se non un bel milione tondo tondo. E parliamo di Eccellenza. Il costo dei cartellini ha raggiunto vette mai viste in precedenza. Non solo per le punte dell’iceberg ma anche per quelli che stanno al di sotto.
Il problema non sono i 6 milioni l’anno a Gigio Donnarumma ma il milione al fratello. Potete immaginare quanti “Antonio Donnarumma” ci sono in giro per l’Italia? I giocatori pensano di essere tutti dei fenomeni. E pretendono. Persino in 1^ categoria c’è chi chiede di essere pagato. Per effetto di questa connection sono improvvisamente apparsi (per poi scomparire con altrettanta velocità) personaggi inquietanti di varia provenienza geografica mondiale. E con essi i soldi che avrebbero dovuto portare in dote. Una volta esistevano i Presidenti imprenditori che iniettavano soldi nel pallone per poi cercare di rientrare con l’indotto verso le loro attività commerciali. Presidenti che comunque erano animati dall’interesse verso il terreno di gioco, che ritenevano di saperne a prescindere Adesso che le squadre di calcio sono delle S.p.A. sono viste alla stregua di tante altre aziende commerciali di differenti settori. Una forma di investimento.
Tempo fa scrissi un articolo (questo) che ragionava su una possibile riforma dei campionati, riforma che finalmente, premiava il merito, che era facile, comprensibile e realizzabile. A quella riforma sarebbe da aggiungere un tassello, quello del salary cap, ben noto strumento gestionale nel mondo dello sport professionistico statunitense.
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