Il Milan prima di tutto
Si dice (ma poi, chi lo dice?) che le bandiere nel calcio non esistano più.
Per “bandiera” personalmente intendo un giocatore che indossi la maglia di una squadra per dieci o venti anni, che di quella squadra sia stato capitano, che per quella maglia abbia rinunciato a lauti guadagni e trionfi magari altrove.
Rivera è stato una bandiera. Baresi anche, come Maldini idem. Queste sono le mie bandiere. Quelle per le quali vale sempre la pena di arrabbiarsi in caso di cessione, quelli che devi tenere a tutti i costi, sempre.
Poi, però, viene ceduto un giocatore e ti accorgi che la sua cessione assurge a motivo di divisione della tifoseria, anche se il calciatore in questione veste la maglia del Milan solo da quattro anni, un po’ troppo pochi per essere definito “bandiera”.
Ti accorgi anche che si vocifera soltanto della possibile cessione di un giocatore, che nemmeno ha esordito in prima squadra. Un ragazzo di 17 anni che ai miei tempi sarebbe già stato mandato a farsi le ossa sui duri campi della Serie B o C. A mostrare cosa sarebbe in grado di fare, con la promessa di rientrare un bel giorno. E anche in questo caso ti accorgi che la sua (solo possibile!) cessione assurge a ulteriore motivo di divisione della tifoseria.
Sinceramente non comprendo. Nella vita (e il calcio fa parte della vita) non si può avere tutto. Abbiamo sopportato la partenza di Shevchenko, quella (dolorosissima) di Kakà. Quelle di Thiago e di Ibrahimovic. Quella di Pirlo. L’addio di Ambrosini, Nesta e Gattuso. Ma siamo ancora qui, vivi e vegeti e più tosti di prima.
Stiamo ripartendo e dopo alcuni anni di colpi al ribasso, la società ha piazzato acquisti di primo piano, strappandoli a contendenti di alto livello. E siamo, lo ricordo, appena alla prima metà di luglio. Altri colpi arriveranno prima del 31 agosto.
Abbiamo sempre criticato gli acquisti avvenuti in barba ai desideri dell’allenatore. Ed era corretto criticare.
Adesso abbiamo un allenatore che ha le idee molto chiare su chi vuole a disposizione e su chi non vuole. E non va bene nemmeno adesso. Continuo a pensare, come già detto, che ci piaccia farci del male da soli.
Su El Shaarawy sento e leggo di “voci” di una vita privata non proprio da atleta professionista. Non ho elementi per poter giudicare, non ho a differenza di altri, tutte queste certezze e non sono abbonato a Eva 3000. Mi piace parlare di calcio giocato e perciò dico che El Shaarawy, giocatore che ho sempre apprezzato e sul quale io avrei puntato, ha un senso in uno schema di gioco che lo valorizzi: un 4-3-3, un 4-2-3-1.
El Shaarawy è un esterno, un’ala. La provocazione del ruolo da centrocampista era tale da metterlo alla prova. O accetti o te ne vai. Lui non ha accettato ed è giusto che vada da un’altra parte a giocare e a giocarsi le chance di Nazionale, chance che non avrebbe avuto stando eternamente in panchina. Avrà sempre la nostra gratitudine e se ce lo troveremo da avversario avremo un occhio di riguardo nella sua marcatura.
Su Mastour non mi esprimo, però vero è che il ragazzo sembra avere grandi numeri. Ma vorrei vedergli giocare un campionato intero, a Crotone, a Pescara, a Frosinone, ovunque. Ovunque abbia la possibilità di giocare con continuità, ripeto, una volta era così. Adesso si resta in attesa del club, meglio se straniero, che ti offre un contrattone e ti si porta via. Allora, fino a che non vedo Mastour giocare bene e decidere le partite, anche io attendo, il tempo è comunque dalla sua parte.
La strada che ha intrapreso il Milan, quella di tornare a vincere non fra tre-quattro anni, ma subito, non passa attraverso l’attesa di quelli come Mastour. Bacca, Luiz Adriano, e speriamo Ibrahimovic, ne sono la testimonianza. Serve ripartire subito, prendere i proventi della Champions per sistemare il bilancio.
Ribadisco, non è il momento di farsi del male da soli.
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