Non tutto il male viene per nuocere
“Non tutto il male viene per nuocere”, una frase che molte volte si fatica a comprendere perché, quando succede un qualcosa di brutto che porta sofferenza, disperazione e tristezza, spesso non si riesce a trovare in questo anche un solo elemento positivo, un aspetto da salvare e da cui trarre un insegnamento. Una celebre frase del Dalai Lama dice “quando si perde che almeno non si perda la lezione”. L’Italia ha perso, è fuori dai prossimi Mondiali di Russia 2018, il movimento calcistico azzurro ha perso, Ventura ha perso così come i giocatori e, in fondo in fondo, anche i tifosi hanno perso qualcosa. Ma, da questo punto così basso, bisogna per forza ripartire ed impostare le cose per bene. Per una volta non facciamo i soliti italiani che, dopo i mille proclami iniziali, dimenticano o semplicemente non mettono in pratica quanto detto. Alla fine è spesso così, tutti vogliono cambiare ma nessuno poi si adopera per il cambiamento.
Molte cose non sono funzionate in questi ultimi anni. La più facile da constatare è stata la debacle ideologica di Ventura. Ha impostato un progetto tecnico-tattico che non ha mai realmente funzionato e che, dopo la disfatta di Madrid, ha mostrato tutti i suoi limiti e le sue falle. Moduli non adatti (4-2-4), giocatori in forma non convocati o lasciati in panchina (Insigne ed El Shaarawy ad esempio), formazioni sempre diverse senza un filo logico (Jorginho e Gabbiadini diventati elementi cardine solo nell’ultima partita) etc. Per non parlare del poco mordente mostrato in campo da tutti i giocatori, salvo avere una reazione d’orgoglio e di nervi avuta solamente nel ritorno contro la Svezia. E fino a quella partita dove è stato quell’atteggiamento? Conte ha avuto a disposizione più o meno gli stessi uomini ,eppure un anno e mezzo fa, ai quarti di finale dell’europeo, siamo stati eliminati solamente ai rigori dalla Germania campione del mondo in carica. Quella squadra, pur con tutti i limiti tecnici del caso, era un’altra cosa rispetto a quella scialba vista nell’ultimo anno.
Ha fallito anche Tavecchio e tutti gli altri dirigenti della FIGC perché, dopo due eliminazioni consecutive ai mondiali al primo turno, questa volta non ci siamo riusciti nemmeno ad arrivare. Questo fa capire molte cose e mostra come la situazione non sia migliorata ma addirittura peggiorata. Non è stato fatto niente di concreto per risollevare il movimento azzurro che dal 2006 risulta in un continuo e inevitabile declino. Nel 2010 si è data la colpa a Lippi e alla sua “minestra riscaldata”, nel 2014 a Balotelli e a Prandelli, due bresciani i cui nomi fanno pure rima, ora nel 2018 a Ventura. Vero è che tutti questi allenatori hanno le loro colpe ma, forse, dopo tre fallimenti continui, la responsabilità non è solo di chi allena, ma anche di chi dirige. Tavecchio ha preso le redini del movimento nel 2014, succedendo ad Abete, non riuscendo però ad invertire la rotta di una barca che stava pericolosamente andando alla deriva. Di conseguenza è doveroso che faccia un passo indietro e lasci il comando della nuova barca a qualcuno con nuove idee che possa aprire un nuovo corso.
In questi anni hanno sbagliato anche le squadre italiane che, pur parlandone tanto, spesso non sono riuscite a promuovere e a valorizzare appieno i pochi giocatori italiani di qualità provenienti da vivai, che producono sempre meno. Un problema questo che è al centro dell’agenda italiana da anni, senza però che si siano mai trovate valide soluzioni.
Il lavoro da fare è molto, anzi c’è proprio da ripartire dalle fondamenta. Il solo cambiamento dell’allenatore della Nazionale, a mio avviso, è una misura insufficiente, una semplice pezza ad una falla che rischia di diventare insanabile. Ogni crisi è un rischio, ma al tempo stesso un’opportunità. Sta a noi sfruttarla … sempre che lo vogliamo davvero.
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