La Nazionale che non esiste più

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Se qualcuno aveva ancora dei dubbi si rassegni. La Nazionale di calcio non esiste più. Incapaci di battere Bulgaria e Irlanda del Nord in un girone di qualificazione nel quale gli antagonisti più forti erano, udite udite, i terribili orologiai d’oltralpe, saremo costretti il prossimo inverno ad osservare da lontano un altro Mondiale sulle reti Mediaset. Intendiamoci, se l’aspetto tecnico assume (e lo assume sicuramente) ancora un valore, l’ultima nostra grande generazione di calciatori è stata quella della metà deglianni ’70 (quella degli Inzaghi, di Vieri, di Del Piero, di Totti tanto per intenderci) che ebbe il suo vertice ai Mondiali del 2006. Ciò che è venuto dopo è tutto di meno, mada qui ad accettare passivamente quello che ci viene proposto secondo me ce ne passa. Se per battere la Macedonia del Nord siamo costretti a ricorrere a Joao Pedro, Luis Felipe, Emerson Palmieri c’è qualcosa che non va a prescindere dal fatto che le mamme e i papà italiani nel frattempo non hanno dato alla luce niente che passerà alla storia.

Stritolata da un calendario internazionale di Coppe, coppette e coni gelato vari da un lato e dall’altro da un campionato sovradimensionato e asservito ai voleri delle televisioni e agli appetiti delle società concentrate sulla vendita dello spettacolo (?) pallonaro di cui si sentono depositarie ai fini della spartizione della torta milionaria, quella che una volta era una squadra che riusciva a tenerci incollati davanti al televisore si è ridotta ad un imbarazzante fastidio. Perché così è, nei fatti. Nessuno la vuole. Non la vogliono, al di là delle dichiarazioni di circostanza, i giocatori, troppo impegnati a discutere di contratti, di rinnovi, scadenze, prolungamenti.

Non la vogliono le squadre di club preoccupate che i loro pupilli possano farsi male, che magari possano sudare troppo e non siano poi pienamente impiegabili nei sette giorni sui quali ormai è spalmato il calendario delle partite e (sempre le squadre di club) concentrate, per bocca dei loro Manager, degli Amministratori Delegati, dei proprietari Paperoni sparsi qua e là per il globe terracqueo, solo sui bilanci e sugli ormai famosi “ricavi”, nemmeno stessimo parlando di un bar qualsiasi. Non la vogliono più nemmeno i tifosi per i quali ormai domina quella sorta di feudalesimo calcistico del quale siamo tutti più o meno imbevuti.

E in aggiunta, tanto per non farci mancare nulla, esiste anche un problema di guida tecnica. Non vinciamo un Europeo Under21 dal 2004, allenatore Claudio Gentile (!). La nostra Under21 attuale fa sorridere di tenerezza. Ormai la figura dell’allenatore Federale è morta e sepolta. Valcareggi, Bernardini, Bearzot, Vicini e, ultimo, in ordine di tempo Maldini, appartengono alla mitologia più che alla storia. Ormai la nazionale “è come una squadra di club” e perciò si consegna alla conduzione di un allenatore che proviene dai club e perciò deve solo “gestire” quello che i club gli permettono di gestire. E siccome è stato prima ancora allenatore di una squadra di club gli sarà più facile non litigare con i club stessi. Ma per favore. Prima fu Sacchi, lo stesso Zoff, indi Trapattoni, poi Lippi, dopo il quale abbiamo avuto Prandelli, Conte, Ventura (!) e in ultimo Mancini. Perché tanto tra l’Italia e il Milan, la Juve, la Fiorentina, l’Inter, il Manchester City e persino il Bari che differenza c’è? Nessuna, appunto. Vedrete che qualche intelligentone, prima o poi, lancerà l’idea dell’allenatore straniero, tanto manchiamo solo noi. Vedo già i titoli dei giornali: Guardiola, Mourinho, e sotto a chi tocca.

Belli erano i tempi quando per fare la Nazionale utilizzavi un “blocco” (famoso quello della Juventus) integrato da altri elementi provenienti da altre squadre. Ma era l’epoca in cui le squadre, e non solo le società, erano tutte italiane. Adesso per trovare giocatori italiani serve il lanternino. Le formazioni delle squadre sono invase da onesti pedatori dal cognome esotico e spesso anche impronunciabile, provenienti dai quattro angoli della terra in ossequio al globalismo, all’abbattimento delle frontiere e al meticciato calcistico. E i Procuratori ridono. Le squadre nazionali, in generale, hanno perso il loro significato di aggregazione di un popolo dietro un’unica bandiera e, in tale quadro, la nostra rappresenta, credo, il punto massimo di tale filosofia. Chi siamo? Dove andiamo? Un Fiorino? Macchè, manco quello.

Sono lontani, ben oltre il numero degli anni trascorsi, i tempi delle dirette notturne dal Messico, dall’Argentina, del caldo dei pomeriggi Spagnoli, delle notti magiche del nostro sfortunato mondiale. Viva la Nazionale che giocava il sabato alle 14.30, quella con la quale sono cresciuto. Quella che perse al cospetto di Sua Maestà O‘Rey. Quella che vinse contro l’Albiceleste a Buenos Aires. Quella che “Zoff, Gentile, Cabrini…”. Quella di Baggio e Schillaci ma anche di Ancelotti e De Napoli.

E a chi evoca purghe Staliniane ed epurazioni, dico che il pesce, come noto, puzza sempre dalla testa. Di fronte ad un tale fallimento, il secondo di fila, colui che dovrebbe dimettersi per dare l’esempio dovrebbe essere il Presidente della Federcalcio e con lui tutta la sfilza di Dirigenti che ha consentito si arrivasse a tanto. Incapaci di dare una svolta al sistema calcio nostrano, a partire dalla riforma dei campionati con la sforbiciata nei confronti di chi non è nelle reali condizioni per poter competere e pur di stare lì dove sta fa il passo più lungo della gamba. Chi ha le possibilità di fare calcio di vertice lo faccia, altrimenti si accontenti dello sport di base. Non sta scritto da nessuna parte che tutti devono andare in serie A o nelle Coppe.

Non inganni la vittoria degli Europei dello scorso anno, una sorta di rondine che come tale non fa mai primavera. Noi italiani siamo eccellenti nell’improvvisare e nell’adattarci allo scopo. In quei contesti siamo capaci di tutto. Dopo i mondiali del 2006 abbiamo messo in fila due eliminazioni al primo turno (2010 e 2014) e due mancate qualificazioni (2018 e 2022) segno inequivocabile di un declino al momento inarrestabile oltre che tecnico soprattutto organizzativo. Si è perduto il filo del discorso, si è smarrita (ma l’abbiamo mai posseduta?) la capacità di programmare e progettare di vedere oltre il proprio naso. Ma d’altra parte, di che ci meravigliamo? Gli spettacoli spesso indecorosi che ci regala la nostra classe politica, incapace di una visione strategica non sono altro che l’immagine di un paese (volutamente minuscolo) che vive l’oggi senza interessarsi del domani e nemmeno del dopodomani, in tal senso sono emblematiche. Il fondo pensavamo di averlo toccato, adesso stiamo scavando. Meglio non farsi illusioni.

Nel frattempo che vi svegliate, aridatece la Nazionale.

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