L’insostenibile leggerezza dell’essere e una pietanza troppo Speziata
Buongiorno. La rubrica “Uno sciagurato punto di vista” torna ad occuparsi di stretta attualità in riferimento alla giornata di campionato appena disputata che ha visto il Milan sorprendentemente uscito sconfitto nei confronti dello Spezia.
È bastata la terza sconfitta del 2021 a gettare le falangi del tifo rossonero negli Inferi della disperazione più profonda. I social media sono inondati dalle dichiarazioni dell’esercito degli innamorati traditi, delusi ed affranti ai quali nel giorno di San Valentino sono spuntate le corna.
Sono riemersi dalla buia cantina, nella quale si erano – ahiloro – giocoforza dovuti ritirare, i disfattisti in Servizio Permanente Effettivo, i cultori del fallimento a prescindere, i contestatori per definizione, gli stessi che gridavano all’epoca “Galliani vattene”, “Berlusconi vendi”, gli stessi che poi hanno (ovviamente) denunciato, alla prima occasione, le carenze finanziarie e la confusione dell’imprenditore cinese evidentemente fotocopiato (l’unico, e male, per giunta).
Direttori sportivi autonominati, allenatori da FIFA21, manager da PES, laureati alla Università della strada o del bar dello sport, con alle spalle un’esperienza evidentemente quantomeno trentennale nelle pratiche pedatorie che reclamavano, illo tempore, l’inclusione di Maldini nello staff dirigenziale e che adesso ne contestano le scelte. Gli stessi che non si poteva fare nulla senza Leonardo (l’ingrato, ricordo) e che ne hanno poi applaudito la fuga, sostenitori di Fassone e delle sue “cose serie”, dei giocatori che al mercato Mirabelli comprò, che adesso la menano con Gazidis, col fondo Elliott e che giurano di non credere all’esistenza di Singer finché non lo vedranno seduto in tribuna a San Siro.
Personaggi dal curriculum scritto ad inchiostro simpatico o in possesso di pedigree crackato da “veri calciofili di pura razza” che evidentemente non attendevano altro.
È a questi signori che mi rivolgo ricordando loro le premesse di questa stagione: obiettivo, ritorno nell’Europa che conta. E, come la classifica recita, il Milan è secondo in classifica, con 49 punti, 9 punti sopra il quinto posto che dall’Europa che conta ti esclude, occupato dalla Lazio e dal Napoli (nei confronti delle quali siamo al momento in vantaggio per aver vinto all’andata) e dall’Atalanta con la quale è vero che abbiamo già perso ma che incontreremo alla 38^ e ultima giornata quando, magari, i giochi saranno già fatti e che appare molto concentrata sulla possibilità concreta di vincere la Coppa Italia. Sic rebus stantibus, come amavano dire i nostri Padri latini, così stanno le cose, così dicono i freddi numeri. Se partiamo dal presupposto dell’obiettivo appena citato, non si può certo dire che la strada non sia quella giusta.
A costoro, professori Emeriti di scienza del calcio applicata, vorrei ricordare, così, per inciso, gli ultimi otto-campionati-otto, pieni di aspettative estive di un piazzamento di valore disattese già all’arrivo dei primi freddi, di delusioni sopportate in quantità industriale, di spettacoli (?) tecnici di bassa qualità che ci sono stati offerti, di allenatori cambiati come non ci fosse un domani (da Allegri a Seedorf, poi Inzaghi, indi Mihajlović, da questi a Montella, per poi passare a Gattuso e, dulcis in fundo, a Giampaolo e da questi poi a Pioli), con il conseguente transito da un sistema di gioco all’altro in un tourbillon di giocatori, di idee e purtroppo, di chiacchiere.
Sempre per costoro, specialisti del lamento, che si lagnano di ciò che osservano ora, potrei declinare, a memoria, tutta una sequela di formazioni che, mio malgrado, ho dovuto vedere (e, soprattutto) tollerare, infarcite di interpreti della pedata scarsi anziché no. Ricordo a tutti coloro che hanno dimenticato o che hanno avuto la fortuna di non vedere, che la gloriosa maglia n° 10 del Milan, indossata da Schiaffino, Rivera, Gullit, Savicevic, e chi più ne ha più ne metta, è stata anche, ahimè, è triste ricordarlo, sulle spalle di tal Roberto Scarnecchia, ora impegnato nel settore della ristorazione in quel di Roma. Sapevatelo. Perciò, prima di cedere al lamento e alla contumelia, abbiate almeno rispetto per chi di “pipponi” ne ha visti più di voi e tenetevi quelli che ci sono ora, perché in passato c’è stato di peggio.
Tutto ciò premesso, atteso che sarebbe auspicabile una maggiore capacità di valutazione, di riflessione e di giudizio, cerchiamo, con la mente un po’ più fredda, di approfondire ed esaminare con calma (cosa evidentemente difficile da fare quando si parla di calcio) quanto accaduto e di aggiungere qualche elemento in più al nostro zaino delle conoscenze.
Detto delle tre sconfitte, appare evidente che non tutte affondano le loro radici nella medesima torba.
Contro la Juventus ci fu partita, eccome (!), stante le difficoltà di reperire un undici all’altezza dell’impegno causa le concomitanti assenze, sino a che la superiore qualità e quantità dei rincalzi messi in campo da Pirlo non orientò l’esito dell’incontro verso i bianconeri.
Contro l’Atalanta giocammo veramente male, troppo direi, sino ad esaltare le qualità della squadra bergamasca ben oltre i suoi stessi meriti.
Sabato sera, semplicemente, non abbiamo giocato. C’è differenza tra “giocare male” e “non giocare nemmeno”, ve lo garantisco. Sotto questo aspetto la sconfitta di sabato assomiglia molto a quella contro il Lille dello scorso mese di ottobre, soprattutto perché assolutamente inattesa. Quando si affrontano squadre comunque di valore che schierano elementi giudicati universalmente bravi al di là dell’antipatia e del tifo, si deve comunque valutare anche la possibilità di un risultato non soddisfacente. Non è evidentemente così quando affronti una squadra che presenta una cifra tecnica inferiore, sebbene lo Spezia sia da annoverare, sinora, come una interessante novità nel panorama calcistico nazionale per quanto mostrato sul piano del gioco espresso e del rendimento dei singoli, la gran parte dei quali sconosciuta ai più e ascrivibile alla categoria dei “saranno famosi”.
È verosimile una certa qual sottovalutazione dell’impegno da parte dei nostri (possibilità avvalorata da talune nonché improvvide dichiarazioni post-gara)? Per mio conto, sì, o forse, ancora meglio, è verosimile che lo Spezia sia stato inconsapevolmente (?) considerato una tappa di semplice “avvicinamento” a impegni ritenuti unanimemente di maggiore difficoltà (Stella Rossa, derby, Roma). Il tutto in coincidenza con il recupero pressoché totale della rosa nel suo insieme, da cui la sensazione (errata) di poter portare a casa il match in un modo o nell’altro, o per dirla alla Draghi, “whatever it takes”. Male, molto male. Chi ha calcato i campi da calcio un tempo quanto meno sufficiente per potersene accorgere, sa bene quanto sia, all’interno del gioco e delle sue regole, cospicua la componente psicologica ed umana. Entrare in campo con la convinzione di poter disporre dell’avversario con facilità o comunque con il minimo livello sindacale di complessità, è proprio soltanto di chi può vantare una schiacciante superiorità tecnica, atletica e tattica. A parte isolati casi, qua e là per l’Europa, quanto detto non si attaglia al nostro caso e al nostro campionato, dove anche squadre più attrezzate faticano e dove non te la porti a casa senza sudare.
È verosimile che negli ultimi quindici giorni, senza impegni agonistici infrasettimanali lo Staff abbia approfittato per un carico di lavoro supplementare e che ciò abbia contribuito ad obnubilare le menti ed i muscoli dei nostri beniamini? Sì, anche questo è verosimile.
È verosimile che siano stati fatti cambi ritardati da parte dell’allenatore? Sì, anche questo è verosimile. Ma è lo stesso allenatore che, la partita precedente, ha tolto un giocatore già nel corso dell’intervallo. È altresì noto che un allenatore prima di sconfessare, profondamente, sé stesso e le sue scelte per l’occasione attenda. Ci sta, insomma. Non è raro vedere cambi negli ultimi dieci minuti.
Spezia come una battuta di arresto, dalla quale trarre gli opportuni ammaestramenti, però. Mai più in campo in quel modo.
È qui che si farà, d’ora in avanti, la nostra nobilitate. Nell’atteggiamento, nella convinzione di potersela (ma allo stesso tempo, doversela) giocare con chiunque. In capo all’allenatore la responsabilità della gestione, oculata, di tutti gli elementi, finalmente disponibili, della ripartizione dello sforzo, fisico e mentale. Anche di quelli che non esaltano l’occhio del tifoso, quelli di seconda fascia. I Dalot e i Meitè, tanto per fare nomi, serviranno anche loro.
Mancano 16 giornate al termine, nessun obiettivo è precluso, nemmeno quello più ambito ma sino a pochi mesi fa assolutamente impensabile, nonché, ancora adesso innominabile.