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Pierino Prati

DiEgidio

Dic 13, 2015 #Prati
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prati.pierino

 

C’è stato un Milan che nell’arco di due stagioni infilò, una dietro l’altra, una serie di vittorie memorabili: Coppa Italia (‘66-‘67), Coppa delle Coppe e Scudetto (‘67-‘68), Coppa dei Campioni (’68-69), Coppa Intercontinentale (1969). E all’epoca a nessuno venne i mente di inventare le Supercoppe, altrimenti… alla faccia di tutti i triplete!

Era il Milan di Nereo Rocco, il Paròn. Era il Milan di Rivera e Lodetti, del ragno nero Cudicini, di forbicetta Rosato e di Schnellinger.

Erano gli anni del boom economico, degli elettrodomestici, dell’automobile, della rinascita Italiana dopo le tragedie della guerra mondiale.

In quel Milan giocava un ragazzo magro e dall’andatura dinoccolata. Messi gli abiti borghesi tutto sembrava fuorché un calciatore. Camicia a fiori, pantaloni a zampa d’elefante, capelli lunghi. Un hippy.

Quando il Paròn lo vide per la prima volta, esclamò in perfetto dialetto triestino:

COSA MI AVETE PORTATO UN CANTANTE ROCK? A ME SERVE UN ATTACCANTE, NON LO VOGLIO!”

Dovette ricredersi. Quel ragazzo apparentemente fuori posto, era un attaccante vero. Adesso lo definiremmo una prima punta, ma era in grado di ricoprire anche quello di seconda. Agile, tecnico e potente al tempo stesso, fortissimo nel gioco di testa, veloce nella corsa, batteva a rete con tutti e due i piedi.

Valore attuale? Non meno di 50 milioni di euro, ritengo, visto quello che c’è sul mercato.

Maglietta numero 11, calzettoni sempre calati, girava per tutto il fronte dell’attacco, in attesa del passaggio al momento giusto di Rivera. Passaggio che puntualmente arrivava. Con i tifosi fu subito amore a prima vista, per lui il soprannome più appropriato, Pierino “la peste”. Per i portieri avversari, una maledizione.

Inizia nella Salernitana e dopo un anno di prestito al Savona torna al Milan, legando indissolubilmente il suo nome e la sua presenza ad un’epopea di trionfi nazionali e internazionali. Indimenticabili.

Capocannoniere nella stagione dello scudetto del 1967-68, tre gol nella storica finale di Coppa Campioni a Madrid nel 1969 contro l’Ajax di quello che sarebbe diventato di lì a poco Sua Maestà Johan Crujiff, l’Olandese Volante, drammatica la sua uscita col volto tumefatto dai calci e dai pugni nella indegna gazzarra messa in scena a Buenos Aires dagli Estudiantes nel vano tentativo di rimontare il pesante passivo rimediato nella gara di andata.

In Nazionale non ebbe molta fortuna per avere incrociato nel suo stesso periodo il più forte numero 11 di tutti i tempi: Gigi Riva. Purtroppo fu penalizzato dagli infortuni e per questo motivo non potemmo mai vedere compiutamente all’opera il famoso tridente Chiarugi-Bigon-Prati (con Rivera alle spalle…) nell’annata 1972-73, conclusasi con la bruciante sconfitta nella fatal Verona.

Cercò di prolungare la sua carriera emigrando prima a Roma, alla corte di Nils Liedholm, e poi negli Stati Uniti, chiudendo la sua carriera nel Savona medesimo.

Nel momento in cui scrivo questo articolo fa l’allenatore, fuori dal grande giro, nelle serie minori e soprattutto a contatto con i giovani. Collabora con la Scuola Calcio Rossonera. E nel cuore dei milanisti veri ci sarà sempre un posto per lui.

Scusa… scusa… è San Siro che deve intervenire… IL MILAN E’ PASSATO IN VANTAGGIO… cross di Rivera… perfetto colpo di testa di Prati… nulla da fare per il portiere avversario”.

Ciao e tanti auguri, Pierino la peste.

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