Mondiale, ma quale Mondiale, per favore… Ridatece er Mondiale, quello vero
A partire dal 1970 ho avuto la fortuna di assistere a 14 edizioni della Coppa del Mondo. Confesso che l’edizione che si è appena conclusa è stata quella che ho seguito con meno interesse di tutte le altre, quasi solo per un irrefrenabile “spirito di servizio”, per la passione che il gioco del calcio genera inevitabilmente e credo anche per l’assenza (peraltro ampiamente meritata) della Nazionale.
Un Mondiale fuori luogo, fuori orario, fuori dalle regole, preceduto, accompagnato e (sicuramente) seguito da una quantità di polemiche mai viste in precedenza. Un Mondiale al gusto della politica (quella brutta) e del denaro e che di “pallone” ha avuto veramente poco. Per chi ha tempo da investire andate su Netflix e gustatevi la miniserie sugli scandali della FIFA, nella quale si spiega con dovizia di dettagli come si sia giunti alla assegnazione degli ultimi due Mondiali e del perché. Vedrete come mai accaduto prima d’ora politica, economia e alta finanza abbiano lavorato fianco a fianco e saputo stringere un’alleanza diabolica che sta stritolando tutto quel residuo che di sano e puro è rimasto sul prato verde.
Sorvolo volutamente sulla questione (peraltro non peregrina, ma che lascio volentieri ad altri più qualificati di me) della violazione dei diritti umani e delle morti legate alla costruzione degli stadi. Le recentissime vicende accadute in sede Unione Europea testimoniano però, sempre a mio modesto avviso, di come il mondo Occidentale e democratico si sia fatto abbindolare (?) dalle lusinghe di scaltri commercianti (?) il cui unico proposito era, è, e sarà solo quello di vendere un modus operandi e di pensiero attraverso operazioni spregiudicate e costose di compravendita di assets e di coscienze.
Spero che questo Mondiale prenatalizio sia stato soltanto un esperimento, unico ed irripetibile. Personalmente resto orgogliosamente affezionato al Mondiale estivo, con l’afa, le finestre spalancate, gli avvolgibili alzati, la pizza calda e la birra gelata, senza peraltro arrivare a scomodare la frittata di cipolle e il rutto libero di Fantozziana memoria.
Molte partite sono state noiose e deludenti e non è sufficiente aver assistito ad una appassionante finale per ribaltare un giudizio medio, a mio modesto avviso, complessivamente basso. Ha vinto la squadra certamente più pragmatica ed efficace, portatrice di quelle che erano una volta le nostre migliori qualità. Ma d’altra parte, quanto dell’Italia c’è in Argentina? Molto. Sotto l’aspetto tecnico-tattico probabilmente questi Mondiali hanno segnato la fine del tiki-taka, dei centotrentamila passaggi e della percentuale di possesso palla cosiddetta “Barcelloniana”. Abbiamo visto molte squadre coprire bene tutti gli spazi, difendersi e ripartire con efficacia. Non a caso, il Marocco, presunta sorpresa della manifestazione (peraltro noi lo avevamo previsto in questo articolo premondiale), arrivato alle semifinali con solo un (auto)gol subito, perde le restanti due partite nelle quali gioca meglio delle due precedenti partite ma come non aveva mai giocato prima e cioè a viso aperto.
Noi? A casa a tifare con distacco per “gli altri”, comodamente seduti sul divano a smaltire colpe e delusioni per non essere riusciti ad insaccare un rigore (ma il Pallone d’Oro a Jorginho?) contro la Svizzera che poi ne ha presi 6 dal Portogallo che a sua volta è stato fatta fuori dal tremendo Marocco, mica uno scherzo. A noi resta il ruolo, nobilissimo, di abilissimi commentatori dei commentatori. Magra ma meritata consolazione. Ci siamo divertiti (o arrabbiati, a seconda dei casi) ad ascoltare e a giudicare quanto detto (o stra-detto) da dietro il microfono dagli inviati sui campi. L’invasato Adani, i clericali Don Rimedio e Fra’ Di Gennaro, l’indisciplinato Stramaccioni. Abbiamo tollerato la raucedine della De Stefano, le evoluzioni del Chechi, i salti di palo in frasca della Simeoni. Un microfono, ormai, non si nega a nessuno. C’è speranza per tutti, tranquilli.
Cosa non ci siamo risparmiati :
• da qui all’eternità, il dualismo Maradona-Messi. Ma non sarebbe sufficiente sostituire la domanda “CHI È STATO PIÙ GRANDE?” con la domanda “MA TU CHI PREFERISCI?”;
• la mantellina araba posata ad hoc sulle spalle di Messi durante la cerimonia finale, in spregio delle stesse norme FIFA, a suggellare l’acquisito dominio dei petrodollari sul calcio mondiale e l’assoggettamento agli stessi degli interessi tecnici;
• le farneticanti dichiarazioni del Presidente FIFA sul supposto “successo tecnico e spettacolare” di questa kermesse desertica.
Cosa ci siamo risparmiati, se non altro (e non è poco…):
• l’inno al multiculturalismo, all’Afrancia, al fatto che una squadra composta al 100% di bianchi non potrà mai vincere;
• la spocchia e la grandeur d’Oltralpe;
• il SIUM eterno di Cristiano Ronaldo;
• la Coppa che torna a casa a Londra;
• la celebrazione della Gold generation belga;
• l’esaltazione degli inesauribili vivai Iberici.
Appuntamento al 2026, col sombrero e le nuvole, il Comandante Mark e i Lupi dell’Ontario, gli hamburger. Sperando di esserci, in tutti i sensi.